Scalandri, viedissi e lapuni

Hai nu scalandru supa a testaaa!”

Lui, compresa la situazione, grida a più non posso e, colpendosi velocemente con le mani sui corti capelli, cerca di scacciare il ronzante e sgradito ospite che agita le ali sul suo capo, finché non se ne libera, mentre noi ancora ci scansavamo come per allontanarci da un appestato. Passato il pericolo, per fortuna senza punture, sono partite le canzonature e lui: “Volia u viju a vui; u scalandru, se ti muzzica, ti mbalenaa!”.

Un'operaia di Bombo terrestre (Bombus terrestris) impegnata a sondare un fiore di cardo, come gli altri bombi è un'efficiente impollinatrice - Cervara di Roma (RM), 14 luglio 2019


Scuotendo uno di quegli alberelli ornamentali, che producevano grossi fiori viola ed abbellivano le vie del paese, per far cadere addosso a noi altri, che stazionavamo sotto, fiori, foglie e quant'altro di poco stabile fosse presente sui rami della pianta, un Calabrone (Vespa cabro) era caduto proprio sulla sua di testa. Credeva fosse un fiore, come tutti gli altri, finché qualcuno non lo ha avvertito dell’ingigantito pericolo su di lui incombente.

È solo uno degli episodi che ci vedeva protagonisti con uno o più di questi insetti, incontri a volte fortuiti a volte cercati.

Alcuni Calabroni (Vespa cabro) stazionano all'ingresso del loro nido, una fenditura in un muro, in attesa che il sole scaldi l'aria - Francavilla Angitola (VV), 18 agosto 2016


Sulla facciata esposta a Levante del serbatoio dell’acquedotto comunale, quello più vicino al paese, lo stesso la cui sommità, protetta da un muretto, fungeva da fortino inespugnabile su cui due o tre di noi si arroccavano, difendendosi come potevano, mentre gli altri, vocianti, protetti anche da improvvisati scudi di cartone, li assediavano dal basso lanciandogli palle di fango, come in una vera e propria battaglia d'altri tempi, su quella facciata lì, c’era una piccola apertura, tra le pietre che costituiscono il muro della struttura, attraverso cui si doveva accedere ad un anfratto più grande. Lì, proprio lì, d’estate, c’era un nido di Calabroni, ‘nu scalandraru’. Li vedevamo entrare ed uscire mentre una o due sentinelle, posate nei pressi dell’apertura, sorvegliavano e, all'occorrenza, difendevano l’accesso alla loro fortezza. Con questo nido attivo, era rischioso salire sul serbatoio, e questo, evidentemente, ci dava fastidio visto che dal basso e da lontano, lanciavamo pietre verso quell'apertura finché le operaie non venivano fuori così minacciose e ronzanti da consigliare vivamente di cambiare aria.

Un'operaia di Ape europea (Apis mellifera) in cerca di nettare su un fiore di trifoglio; si tratta di una specie in aumento a livello globale che, grazie all'uomo che la sfrutta per la produzione di miele e derivati, ormai è diffusa su tutto il pianeta a meno delle aree dove le condizioni climatiche non siano proibitive alla sua sopravvivenza; fuori dal suo areale di origine, è considerata specie invasiva il cui continuo aumento impatta negativamente sugli altri insetti impollinatori autoctoni - Roma, 30 maggio 2019


Oltre che mangiare pere e fichi maturi, i Calabroni attaccavano altri insetti ed anche le api: li vedevamo mentre si aggiravano in volo sulle piante fiorite su cui le api raccoglievano il nettare assieme alle variegate e colorate farfalle, che tanto interesse suscitavano in noi e che popolavano numerose i prati intorno al paese; le sorprendevano, le catturavano e le portavano via, in volo, verso i loro nidi per nutrire le loro larve.

Api europee (Apis mellifera) attorno all'ingresso del proprio alveare costruito in un muro di un vecchio edificio rurale - Roma, 11 settembre 2016


Oppure catturavano i viedissi: d’estate, non potevi mangiare, all'aria aperta e soprattutto a mare, un panino con soppressata, mortadella o prosciutto che subito arrivavano una o due viedissi a girarti intorno; se non stavi attento, si posavano pure sulla tua merenda fregandoti un pezzo di affettato. Non c’era  ‘cartata’ di teste di alici, che qualche donna del paese aveva portato fuori casa dopo aver pulito i pesci prima di friggerli, che si potesse dir tale se non era sorvolata da una nuvola di vespe che davano fastidio pure ai gatti che, ingordi e guardinghi, si riempivano la pancia di tanto fetido ben di dio. Appena possibile, si posavano su qualche resto di pesce, velocemente ne staccavano qualche brandello per portarlo via, pure loro, verso il loro nido, ‘u viedissaru’. C’erano vari tipi di viedassi, quelle ghiotte di pesce avevano spesso i nidi nel terreno, a cui accedevano attraverso un grosso buco che tenevano sgombro e pulito dalla vegetazione, come un enorme formicaio, che difendevano con una violenza e una ferocia inaudita. Nemmeno questo ci andava giù, e quindi non era raro dar fastidio anche a loro, ma con questi micidiali insetti c’era poco da fare: prima o poi ti pungevano! Eri quindi costretto a tornare velocemente verso casa, gonfio e dolorante, per farti dare mezzo spicchio d’aglio da sfregare sulla puntura come se si trattasse di una bruschetta di pane rosolato: era questo il rimedio locale per alleviare le punture di api e vespe. Queste vespe sociali, se disturbate, erano capaci di accerchiarti numerose, entrarti fin dentro i vestiti e pungerti in più punti: solo un buon paio di gambe ti potevano salvare e se non l’avevi, era meglio che evitassi di fare il coraggioso con loro se non volevi finire dal medico, gonfio in più parti. Questo, prima ti redarguiva, e poi, a sua volta, come se non bastasse, ti pungeva le chiappe con qualche siringa mediante cui ti iniettava qualche farmaco atto a contrastare l’azione di quelle dannate ‘viedissi 'e terra’.

Vespe del genere Polistes sul loro nido costruito con un miscuglio ottenuto masticando fibre di legno - SIC Dune dell'Angitola (CZ), 30 giugno 2018


Era meglio quindi ricordare dove fossero i loro nidi, per evitare di finirci casualmente sopra, vivendo un’esperienza che ti lasciava il segno. In quel caso, quando ascoltavi o raccontavi per spiegare cosa fosse successo, magari con il viso sfigurato da un lato per quanto era gonfio, il discorso iniziava inesorabilmente sempre allo stesso modo: ‘Mi muzzicau na viedissa!’. C’era una piccola area piana ed erbosa che sovrastava lateralmente l’edificio in cui c’era la sede della scuola media. Lì, come in altre improvvisate aree del paese, segnando due porte, rigorosamente senza traversa, con delle canne o delle pietre, e definiti, bonariamente o dall'abitudine, i confini del campo da gioco, si giocava appunto a pallone per interi pomeriggi, senza arbitro e durata prefissata, fino a sera, allo sfinimento o alla lite inconciliabile, al limite della rissa, per un goal o un’azione dubbia, tra urla, accuse di brogli ed oscene ingiurie. Lì, proprio su quel sentiero battuto che scendeva verso il fiume, dove il pallone poteva involontariamente andare, c’era un nido di queste vespe che non perdonava, se non ti ricordavi per tempo di aggirarlo a debita distanza.

Femmina di Colpa sexmaculata: si tratta di un Scoliidae (famiglia di imenotteri Vespoidea) le cui larve si sviluppano a danno di larve di grossi coleotteri che vengono scovate dalle femmine che, dopo averle immobilizzandole con il loro pungiglione, vi depongono sopra un uovo che si svilupperà consumando la larva del coleottero stesso - SIC Dune dell'Angitola (VV), 17 agosto 2019


C’erano poi delle viedissi che erano più tranquille e trattabili, costruivano dei nidi ad ombrello o a fungo attaccandoli, con un peduncolo, alle piante o a qualche manufatto. Questi nidi crescevano con l’avanzare della stagione e con l’aumentare del numero di membri della colonia. Pure loro cacciatrici, nutrivano le loro cicciottelle larve biancastre, una per ogni celletta, con bruchi o altri insetti che si procuravano aggirandosi tra la vegetazione. Queste almeno le potevi guardare, senza esagerare nell'avvicinarsi ed evitando movimenti bruschi però, perché, se si sentivano minacciate, difendevano anche loro senza timori, il loro nido.

Un nido di Polistes sp,  detto viedissaro in dialetto francavillese, affollato di operaie ed ancorato a vegetazione palustre - SIC Dune dell'Angitola (CZ), 9 agosto 2019


I fiori erano frequentati anche da vari Lapuni, paffute e ronzanti api pelose che differivano tra loro per stazza e colori. Tra di esse, u Lapuni nigru semplicemente si faceva rispettare: c’era poco da discutere con questa grossa e rumorosa ape solitaria che, orgogliosa e sicura, ti si parava davanti e ti controllava da vicino nei tuoi movimenti. Se ti veniva contro, potevi tornare indietro oppure stare fermo, sperando che non fosse nervosa ed aspettando che riprendesse da sola le sue attività. In realtà, era un essere pacifico che solo raramente pungeva, come per esempio se accidentalmente lo toccavi o stupidamente lo prendevi in mano. Di sicuro, il nero brillante del suo corpo peloso, su cui spiccava la grossa testa dagli occhi lucidi, il volare con le zampe divaricate, ronzando come un motorino, erano deterrenti sufficienti a non disturbare. Si nutriva appunto sui fiori e nidificava spesso nelle canne con cui si sostenevano pergolati, piante di vite o pomodori, vi entrava dentro e nessuno, tra noi, ha mai osato vedere cosa potesse esserci all'interno di una di esse.

Una Xylocopa sp, detta Lapuni nigru in dialetto francavillese, si accinge a visitare il fiore di un Giglio di mare (Pancratium maritimum- SIC Dune dell'Angitola (VV), 17 agosto 2019


Un'altra vespa familiare era la ‘Viedissa chi peda lunghi’. Te la potevi trovare anche in casa mentre ronzava, solitaria, con le zampe penzoloni oppure posata dove c’era fango, luogo in cui raccoglieva delle palline di tale materiale con cui si allontanava. Un po’ come le rondini, con questi fagotti di terra umida e modellabile, costruiva i suoi nidi che ricordano delle piccole gallerie, lavorandoci con perizia per un bel po’ di tempo ed attaccandole ad un supporto, una vicino alle altre, anche dentro le case. L’aspetto stupefacente era che queste piccole gallerie erano piene di ragni, anche grossi; parevano vivi ma, anche toccandoli, stavano comunque immobili, tanto che queste costruzioni sembravano dei loro covi. Ragni del tipo di quelli che costruiscono le classiche e larghe ragnatele di fili attaccate alle piante, quelle in cui spesso finivamo anche noi, girando in terreni pieni di vegetazione. La verità era ancora più particolare: era la viedissa stessa che portava questi ragni dentro quelle lunghe e rigide cellette, ne stipava ben bene una dozzina per ognuna di esse e poi sigillava la struttura, come un sarcofago. In realtà, quella non era una tomba ma piuttosto un’incubatrice: prima di chiudere, in mezzo a quei ragni, vivi sì, ma resi comunque inerti dalla sua puntura, l’insetto aveva deposto un uovo da cui sarebbe nata una larva che si sarebbe nutrita proprio di quegli esseri che la madre gli aveva procurato, catturandoli e conservandoli con tanta cura; li avrebbe consumati tutti, prima di impuparsi e trasformarsi in insetto adulto che sarebbe fuoriuscito dalla struttura dopo aver bucato una delle pareti di terra che chiudevano la galleria.

Femmina di Scolia erythrocephala nigrescens: anche le larve di questo Scoliidae (famiglia di imenotteri Vespoidea) si sviluppano per lo più a danno di larve di grossi coleotteri - SIC Dune dell'Angitola (VV), 17 agosto 2019


Vedevamo tante altre creature di questo tipo, oggi li chiamerei imenotteri, allora erano solo ‘muschi, api, viedassi, scalandri e lapuni’, di vari colori, strutture e dimensioni, di abitudini solitarie o sociali, ghiotti di nettare e polline oppure di frutta matura, micidiali predatori, parassiti di altri insetti o aracnidi oppure approfittatori di scarti animali o resti di esseri già morti. E mentre loro erano impegnati a rinnovare la loro esistenza, da una bella stagione all'altra, noi vivevamo la nostra infanzia maturando esperienze a contatto con il mondo naturale che ci circondava o con l’ambiente sociale che poteva offrire una realtà piccola, ma ancora affollata e piena di umanità. Oggi, si parla con preoccupazione della riduzione del numero di insetti nel mondo, del pericolo insito nella perdita di queste forme di vita soprattutto in termini di agenti impollinatori, ma non bisogna dimenticare che essi sono soprattutto anelli fondamentali di gran parte delle catene ecologiche ed alimentari terrestri compresa la disgregazione dei substrati vegetali ed animali morti. Un tempo, non tanto lontano, gli insetti sembravano in numero infinito: le modificazioni ambientali e climatiche, l'introduzione di specie aliene ad opera umana, assieme all'uso massiccio ed indiscriminato di pesticidi e diserbanti, soprattutto in ambito agricolo, sono additati come i principali indiziati di questo declino. Solo apparentemente questa è una buona notizia perché questi animali sono generalmente percepiti, tranne poche eccezioni, come fastidiosi, inutili e dannosi. Se si pensa solo ai processi di impollinazione, da cui dipende parte della produzione agricola a scopo alimentare su cui stagionalmente puntiamo come genere umano, è molto facile immaginare scenari non proprio idilliaci qualora gli insetti dovessero scomparire o ridursi drasticamente. Essendo inoltre direttamente sfruttati come base alimentare da altri animali, la loro assenza e riduzione avrebbe impatto rilevante sulla sopravvivenza degli stessi e, di conseguenze, soprattutto su intere catene trofiche. Tutto ciò non è solamente il grido allarmistico di scienziati catastrofisti o desiderosi di vedersi finanziati i loro studi di settore. Basta guardarsi in giro, con occhio critico, per percepire che l'abbondanza di insetti di un tempo non è più un'esperienza facile da sperimentare. Per fare qualche esempio, dove sono le lucciole che abbondavano ed emozionavano nelle sere d'estate quando ero bambino? che fine ha fatto quella miriade di cavallette che saltava e volava sulle dune delle spiagge, che ancora frequentiamo, al semplice passaggio di noi ragazzini? le risposte a queste domande purtroppo sono quasi banali.
Più difficile invece è rispondere con coscienza al quesito se siamo veramente certi di voler verificare sulla nostra pelle o su quella dei nostri figli se gli scenari che ci vengono pronosticati saranno realmente veri.

Un Macaone (Papilio machaon) in alimentazione - Francavilla Angitola (VV), 9 settembre 2018


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Chi non fosse avvezzo al dialetto francavillese e trovasse difficoltà a comprendere i passaggi dialettali riportati nel testo, più consultare quanto di seguito specificato:
- Scalandru è il nome dialettale del Calabrone (Vespa cabro)
- Viedissa è il nome dialettale di vari tipi di vespe, sia solitarie che sociali, tra quest’ultime sicuramente quelle dei genere Vespula e Polistes
- Lapuni  il nome dialettale di vari tipi di bombi del genere Bombus
- Hai nu scalandru supa a testa” significa “Hai un calabrone posato sulla testa”
- Volia u viju a vui; u scalandru, se ti muzzica, ti mbalena” significa  “Volevo vedere voi nella mia situazione; un calabrone, se ti punge, ti può avvelenare!”
- Viedassi 'e terra, letteralmente Vespa di terra; erano spesso indicate le vespe del genere Vespula che sovente hanno nidi nel terreno
- "Mi muzzicau na viedissa" significa "Mi ha punto una vespa"
- Lapuni nigru, letteralmente, Grossa ape nera; vengono così indicate le specie del genere Xylocopa
- Viedissa chi peda lunghi, letteralmente, la Vespa dalle lunghe zampe; vengono così indicate le specie del genere Sceliphron 
- Muschi è il nome dialettale di varie specie di mosche

La sigla SIC riportata nella didascalia di alcune foto sta per Sito di Interesse Comunitario o Sito di Importanza Comunitaria: indica un'area in cui si trovano habitat naturali, specie animali o vegetali degni di conservazione per mantenere la biodiversità, secondo quanto indicato nella direttiva comunitaria denominata Habitat.

L'arroccato rione di Pendino, visto dal basso, si erge tra gli ulivi nella luce del tramonto - Francavilla Angitola (VV), 19 agosto 2019 




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