Lucierti e luciertuni, sierpi e salamidi

Non jestimara a Dio o a la Madonna, ma jestima u diavuli cu li corna!”.

Questa era la formula rituale che pronunciavamo quando, bambini, vedevamo dimenarsi, impazzita, la coda monca di una lucertola, immaginando che quei movimenti convulsi altro non fossero che bestemmie, ingiurie e maledizioni pronunciate da quel pezzo di corpo che continuava ad agitarsi, assatanato, prima di quietarsi del tutto, inanimato. 
In realtà, si tratta di una precisa strategia di difesa sviluppata dal piccolo rettile per ingannare il suo assalitore che, distratto dai movimenti forsennati della coda, perde di vista la parte vitale dell’animale quel tanto che basta per consentigli di mettersi in salvo. Se l’azione diversiva riesce, la coda col tempo ricrescerà dando nuovamente un aspetto completo a quel corpo offeso.

Lucertola campestre (Podarcis siculus), maschio - Monterosso Calabro (VV), 17 aprile 2017


Le lucertole sono sauri familiari, che siamo abituati a vedere intorno a quelli che consideriamo i nostri spazi. A Francavilla Angitola (VV), la specie che è più facile vedere è la Lucertola campestre (Podarcis siculus) diffusa in quasi tutta la Calabria, ed in buonissima parte dell’Italia continentale. Pur trattandosi sempre della stessa specie, può avere dimensioni ed aspetto diversi a seconda della regione in cui viene osservata: in Calabria, per esempio, gli esemplari appaiono più massicci, di maggior lunghezza e di color verde più brillante, soprattutto i maschi adulti. Si trovano un po’ ovunque, purché vi siano spazi aperti su cui termoregolarsi al sole, a partire dalle dune marine: muri, case ed infrastrutture costruite dall'uomo, boschi radi, prati e campagne, compresi gli alberi su cui si arrampicano con estrema facilità. Qui si nutrono di insetti, ragni e lumache che vengono catturati ed ingoiati senza tanti complimenti. I grossi maschi possono difendere dei territori, spazi aperti assolati in cui possono far mostra di sé, allontanando i rivali con aggressioni ed inseguimenti. A volte, si arriva anche allo scontro fisico con morsi, unghiate e contorsioni di corpi tra i due contendenti. Cruenti possono sembrare anche gli accoppiamenti, con i maschi che soverchiano le più piccole femmine, tenendole ferme con un morso. Queste depongono molli uova scavando buche in terreni soffici ed assolati come per esempio banchi di sabbia. L’incubazione, che dura da uno a due mesi, avviene sotto la nuda terra, grazie al calore del sole e, alla schiusa, compaiono giovani del tutto simili agli adulti, ma privi di tonalità verdi, e di colore principalmente marrone. Questi esemplari appena nati li chiamavamo ‘Fortuniedi’ perché si diceva che portassero fortuna, soprattutto gli esemplari mitici aventi due code: situazione, quest’ultima, che non ho mai osservato e, se mai realmente esistita, probabilmente legata a qualche malformazione occorsa a degli sfortunati esemplari.

Due Lucertole campestri (Podarcis siculus), il maschio in basso, la femmina in alto, si termoregolano all'imbocco della cavità in cui probabilmente hanno passato la notte - Monterosso Calabro (VV), 4 aprile 2015


Altra specie di sauro che si può osservare facilmente è la Lucertola muraiola (Podarcis muralis). Con areale di distribuzione europeo più ampio, ma di dimensioni più piccole della specie precedente, sembra risentire della presenza della sua congenere tanto che, in caso di convivenza nelle stesse aree, spesso la muraiola risulta confinata a zone umide e fresche, meno preferite dalla campestre. In Calabria, sembra vivere a quote più elevate preferendo terreni pietrosi, a volte scoscesi, muri e ruderi, spesso vicino all'acqua.

Una Lucertola muraiola (Podarcis muralis) si termoregola su un masso - Girifalco (CZ), 28 giugno 2018


Specie più agreste, legata ad ambienti prativi e cespugliati è sicuramente il Ramarro (Lacerta viridis), chiamato a Francavilla ‘Luciertuni’ probabilmente per le sue dimensioni decisamente più grandi rispetto alle due specie precedenti. La sua colorazione verde, con gola blu soprattutto nei maschi adulti, dà a questi rettili un aspetto imponente, amplificato dalla lunghissima coda. La loro stazza gli consente di predare, oltre che invertebrati, anche uova e nidiacei di piccoli uccelli che prelevano direttamente dai nidi trovati a terra o tra i cespugli. Il Ramarro frequenta meno le strutture umane e spesso risulta più difficile da osservare anche grazie alla sua colorazione intonata con gli habitat che frequenta.

Un Ramarro (Lacerta viridis) con la coda in crescita - Francavilla Angitola (VV), 8 agosto 2016


Ramarro (Lacerta viridis), un esemplare immaturo - Francavilla Angitola (VV), 11 agosto 2018


In ambienti prativi, spesso umidi, si possono incontrare altre due specie che, sebbene abbiano aspetto serpentiforme e con i veri serpenti vengono spesso confusi, sono in realtà dei sauri: l’Orbettino (Anguis sp.), più grande, e la Luscengola comune (Chalcides chalcides), dotata di ridottissime zampe a tre dita. Sono elusivi, miti mangiatori per lo più di invertebrati e spesso si intravedono solo mentre si allontanano veloci tra la vegetazione erbacea. 

Un Orbettino (Anguis sp.) rinvenuto già morto - Francavilla Angitola (VV), 28 giugno 2018


Questi animali hanno naturalmente molti nemici che spesso li cacciano per nutrirsene.

Un tempo, presso il piccolo centro francavillese, più micidiali dei ragazzini, c’erano solo i gatti. I piccoli uomini dai calzoni corti costruivano un cappio usando la parte terminale dello stelo di alcune graminacee selvatiche che potevano raggiungere tranquillamente un metro d’altezza. Con questo prolungamento del braccio, mantenendosi a debita distanza, potevano catturare le ignare lucertole, ponendo il cappio intorno al collo del rettile, passandolo dalla testa. Gli animali catturati, se non maneggiati con estrema prudenza, per difendersi, potevano dare dolorosi morsi. Venivano utilizzati per spaventare gli altri ragazzi o tenuti un po’ al guinzaglio come se fossero piccoli cani; si era in un’epoca spensierata in cui i giocattoli veri e propri erano pochi, si giocava molto per strada e nei vicini campi, la televisione ancora non spadroneggiava ed i videogiochi non erano ancora stati inventati.

Ancora due Lucertole campestri (Podarcis siculus), il maschio in basso, la femmina in alto, che si termoregolano all'imbocco di una cavità - Monterosso Calabro (VV), 4 aprile 2015


I gatti fanno stragi di lucertole a volte senza nemmeno mangiarle. Era comunque idea comune che, nutrirsi di lucertole, non era poi così salutare per gli agguerriti felini domestici: gli anziani dicevano che era proprio l’ingestione di lucertole a rendere magri i gatti, a partire dalla tarda primavera. In realtà, con i primi caldi e rispetto all'inverno, i felini perdevano naturalmente il pelo e lo strato di grasso che li proteggeva dal freddo, apparendo decisamente deperiti, 'allindicati'. Ma questo importava poco, erano le lucertole e rendere i gatti spelacchiati e scheletrici e l’idea era così radicata che anche ad una persona particolarmente magra si poteva dire “para ca mangiasti luciertuli!”, per sottolineare il suo aspetto smagrito ed emaciato.

Lucertola muraiola (Podarcis muralis), maschio - Foiano della Chiana (AR), 17 ottobre 2015


Altri abili predatori naturali di sauri sono sicuramente i serpenti. Questi sono tradizionalmente suddivisi in due famiglie: i colubridi e i viperidi, dotati quest'ultimi di denti e sacca velenifera e velenosi anche per l'uomo. Tra i primi, il più pericoloso, per le lucertole naturalmente, è il Biacco (Hierophis viridiflavus). A volte può succedere di vedere una lucertola correre inseguita da un lungo essere strisciante nero lucido: ‘a Serpa nigra’, così chiamata, nell'area francavillese, proprio per il colore nero delle sue parti superiori, soprattutto negli esemplari adulti. Questo serpente, anche se mordace qualora venga messo alle strette, è del tutto innocuo per l'uomo, facilmente osservabile nelle campagne soprattutto in tarda primavera. Nella sua dieta rientrano anche lucertole e ramarri che caccia attivamente inseguendoli, se necessario, anche su piccoli alberi ed arbusti.

Un adulto di Biacco (Hierophis viridiflavus), fenotipo carbonarius, con colorazione melanica tipicamente riscontrata negli esemplari calabresi - Monterosso Calabro (VV), 9 agosto 2006


Un giovane Biacco (Hierophis viridiflavus) con parti superiori non ancora nero lucido - Monterosso Calabro (VV), 29 giugno 2018


Meno interessata alle lucertole, perché caccia soprattutto rane e rospi, è invece la Natrice dal collare (Natrix natrix) detta ‘Lehandru’ in dialetto francavillese. Si incontra soprattutto in ambienti acquatici in cui spesso nuota con agilità. Vecchi racconti descrivono questo serpente come dotato di grandi padiglioni auricolari posti ai lati della testa. C’era chi diceva di aver visto alcuni esemplari ergersi con le orecchie aperte e la testa alzata come pericolosi cobra, minacciosi nello sbarrare il cammino e nell'ostinazione a non scappare, impressionanti per dimensioni e lunghezza. Chiaramente, la specie non è dotata di questi impressionanti padiglioni auricolari, semmai, molti esemplari hanno dietro la testa due macchie bianche/giallastre, che vagamente possono sembrare orecchie, ma che altro non sono che chiazze chiare che formano una sorta di collare. Inoltre, durante le periodiche mute di accrescimento, questa specie, come altri serpenti, può mostrare brandelli di pelle in parte ancora attaccati alla testa che possono sembrare corone o orecchie. Anche questo colubride è innocuo per l’uomo ma, come per tutti i serpenti o sauri che sembrano tali, rientra tra le specie ingiustamente perseguitate per via della sua vaga somiglianza con le famigerate vipere.

Una Natrice dal collare (Natrix natrix), un probabile individuo immaturo - Roma, 13 aprile 2018


La Vipera comune (Vipera aspis), spesso chiamata ‘Aspidu’ in dialetto francavillese, era il massimo della pericolosità. Si diceva che, in numeri impressionanti, fosse stata liberata dalla Forestale per contrastare la diffusione dei topi o della processionaria che tanti danni provocava ai boschi di impianto artificiale. In questa estesa operazione, nella cui veridicità ancora oggi qualcuno crede, i serpenti sarebbero stati lanciati dagli elicotteri per garantirne una veloce diffusione, infestando boschi e campagne. Si diceva che il suo veleno fosse micidiale e così terribile che anche il serpente doveva gestirlo con cura per non rimanerne vittima esso stesso. Ecco che il serpente doveva mordere a destra ed a manca in modo da liberarsi di parte di questo letale liquido oppure, nel bere, doveva fare attenzione a non intossicarsi accidentalmente mentre ingeriva l’acqua. 
Qualcuno era pronto a giurare di aver visto con i propri occhi una vipera che, giunta guardinga al fiume, dopo essersi accertata di non essere osservata, aveva posto su una pietra del greto una sacchetta rigonfia di veleno, togliendosela dalla bocca prima di dissetarsi nelle fresche acque. L’uomo, approfittando della distrazione del serpente, con un bastone, era riuscito a rompere la sacchetta provocando la dispersione del veleno ivi contenuto. Finito di bere ed accortasi di aver perso il prezioso liquido, la vipera, disperata, si era sbattuta più volte la testa ad un grosso sasso, così violentemente da procurarsi la morte. Questo perché, a detta dell’osservatore, senza un po’ di veleno, l’animale non era capace di produrne dell’altro e quindi non avrebbe comunque potuto vivere. Racconti e leggende, totalmente privi di riscontri, con origini che si perdono nel tempo, che servivano anche a tenere lontani da orti e campi i ragazzini del paese poiché, si sa, l’aria di campagna aumenta l’appetito, l’occasione rende l’uomo ladro e, in un assolato pomeriggio di inizio giugno, non si può certo resistere ad un albero carico di succulente ciliege o nespole! Queste storie hanno però contribuito, un po’ in tutta Italia, a far aumentare le paure e le ostilità nei confronti dei serpenti. In realtà, una vipera usa il suo veleno preferibilmente per catturare le sue prede costituite per lo più da piccoli roditori, come topi ed arvicole. Solo se fortemente affamata, trattiene la preda appena morsa; nella maggior parte dei casi, dopo la rapidissima morsicatura, il roditore si allontana per agonizzare e morire poco lontano sotto l'azione del veleno inoculato. Il serpente, con calma, segue successivamente la striscia odorosa e chimica lasciata dalla vittima, la ritrova e l'ingolla. In letteratura, si stima che un singolo individuo di vipera può catturare fino a 225 prede (roditori e lucertole) durante una sola stagione di attività.

Una Natrice dal collare (Natrix natrix), una probabile femmina matura senza collare bianco, spesso scambiata per una vipera - Roma, 12 ottobre 2017


Un altro ciclo di leggende che ci raccontavano da bambini era associato alla cosiddetta 'Serpa lattara'. Si trattava di un serpente non meglio caratterizzato se non da una colorazione bianca più o meno candida che si diceva fosse ghiotto di latte. Questa sua golosità lo portava a frequentare le stalle dove si poteva attaccare alle mammelle gonfie di latte degli animali domestici per succhiarne direttamente il succulento liquido. Oppure, fatto ancora più terrificante, questo singolare serpente poteva introdursi nelle case e raggiungere direttamente i lattanti posti nelle culle incustodite, attratto dall'odore del latte materno che i neonati avevano appena ricevuto. In questo modo, potevano avvolgersi attorno al bambino e soffocarlo. E' difficile capire l'origine di storie siffatte, ma potrebbero derivare da reali osservazioni associate a fatti di più difficile comprensione. Per alcune specie di serpenti, come per esempio la Natrice dal collare, sono noti rari casi di albinismo, cioè esemplari caratterizzati, dalla nascita, da una colorazione bianca dovuta all'assenza di pigmenti melanici. Questo loro colore, nella tradizione popolare, potrebbe averli associati al latte, mentre la frequentazione di stalle, di questi come di tanti altri serpenti, potrebbe spiegarsi considerando che sono ambienti ben frequentati dai roditori e quindi dai rettili, che seguono le loro potenziali prede. Per quanto riguarda invece il potenziale soffocamento dei lattanti potrebbe trattarsi di un rudimentale e antico tentativo di spiegare casi di bambini morti per la Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante (nota anche come "morte in culla") che si manifesta con la morte improvvisa ed inaspettata di un lattante apparentemente sano per cause ancora oggi inspiegate.

Un Saettone comune (Zamenis longissimus), questo colubride non vive in Calabria dove è sostituito dal congenere e molto simile Saettone occhirossi (Zamenis lineatus) - Roma, 22 aprile 2016


I Francavillesi comunque erano e sono protetti dai pericoli, reali o presunti, associati ai serpenti. Si diceva che alla loro vista, anche di più esemplari assieme, minacciosi e velenosissimi, bastava invocare devotamente l’intervento di San Foca, il santo patrono del paese: il solo nominarlo avrebbe allontanato i rettili! Il santo, raffigurato con un serpente attorno al braccio, prima di essere martirizzato, era stato calato in una buca piena di serpenti velenosi che, invece di infierire su di lui, mansueti, ne avevano leccato il sudore dal viso lasciandolo miracolosamente illeso. Proteggeva quindi da tutte queste fiere a meno che, come dicevano gli anziani, non fosse stato lui stesso ad inviarti un serpente per castigarti per qualche malefatta o per l’insufficiente devozione che gli avevi dimostrato.

L'immagine di San Foca Martire con un serpente sul braccio, patrono di Francavilla Angitola (VV)


Altri predatori arrivano dal cielo. Il Passero solitario (Monticola solitarius) e la Ghiandaia marina (Coracias garrulus), per esempio, si nutrono anche di giovani lucertole, ma sono gli uccelli rapaci, falchi e poiane, quelli più temuti. Tra questi, sicuramente il Gheppio (Falco tinnunculus) è quello che può maggiormente incidere sulle popolazioni di lucertole. Noto con il nome dialettale di ‘Cristariedu’, scruta in volo il terreno sottostante per individuare la preda, la punta stando abilmente fermo a mezz'aria, picchia silenziosamente su di essa per catturala con gli artigli per poi consumarla su un posatoio oppure portarla al nido per nutrire i pulcini. Altro specializzato nella cattura di rettili, anche se poco diffuso in Calabria, è il Biancone (Circaetus gallicus) o Aquila dei serpenti che però preferisce rivolgere la sua attenzione a prede più grosse, come appunto i serpenti, benché non disdegni anche i sauri.

Un Gheppio (Falco tinnunculus) punta una potenziale preda stando abilmente fermo a mezz'aria - Fiumicino (RM), 5 gennaio 2018


Il Biancone (Circaetus gallicus) rapace specializzato nella cattura di serpenti - Vicovaro (RM), 15 aprile 2016 


Di abitudini più notturne è invece un altro rettile, il Geco comune (Tarentola mauritanica), chiamato ‘Salamida’ in dialetto francavillese. Nelle sere d’estate, è impossibile non notarlo su muri e soffitti, presso fonti luminose artificiali, mentre cerca di avvicinarsi, furtivo, a falene e piccoli insetti attirati dalla luce. Ogni sera, con piccoli balzi o scatti, ne cattura e mangia a decine. La sua pelle appare rosa chiaro quando si trova vicino alle luci, ma non tutti sanno che può assumere tonalità di colore diverse quando si termoregola al sole, al mattino o nel tardo pomeriggio, sino a diventare quasi completamente nero, tanto da sembrare una specie totalmente diversa. Vive spesso vicino case, muri o ruderi purché ci siano sufficienti rifugi in cui ripararsi. Anche su di lui circolavano voci poco lusinghiere probabilmente legate alle sue abitudini elusive, al suo frequentare ruderi e magazzini mal illuminati ed umidi o alla sua capacità di produrre versi striduli. Si diceva, per esempio, che la sua pelle fosse velenosa o addirittura che, qualora accidentalmente ti fosse caduto sulle parti nude, come braccia o viso, potesse bruciarti la pelle in modo tale da lasciare l’impronta indelebile del suo corpo come un tatuaggio sbiadito. Era quindi meglio stargli alla larga ed evitare i posti in cui viveva, sempre che non dovevi andare per forza a prendere qualcosa nel vecchio magazzino. Nulla di tutto ciò trova naturalmente riscontro nella realtà, si tratta infatti di un animaletto del tutto innocuo e, in un certo senso, anche comodo viste le sue abitudini alimentari.

Un Geco comune (Tarentola mauritanica) si termoregola allo scoperto mostrando il suo aspetto spinoso - Francavilla Angitola (VV), 18 agosto 2016 


Questo Geco comune (Tarentola mauritanica), che si termoregola accanto al suo rifugio, ha assunto un colore scuro per meglio scaldarsi al sole e presenta la coda ricresciuta - Monterosso Calabro (VV), 4 aprile 2015 


Un altro geco segnalato anche in Calabria, soprattutto in zone prossime alle coste, è il Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus). Più piccolo e timido della specie precedente, è più difficile da vedere poiché ha abitudini prettamente notturne, si avvicina più raramente alle fonti luminose per alimentarsi, non si termoregola al sole come il Geco comune.

Un Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), probabile adulto - Ventotene (LT), 28 aprile 2018


Oggi, i serpenti e molti rettili sono protetti da leggi regionali, nazionali ed internazionali, la loro persecuzione o uccisione in Italia è illegale oltre che intollerabile, inutile e dannosa per la campagna stessa: essendo predatori, agiscono naturalmente sulle popolazioni di insetti e piccoli roditori controllandone il numero e la diffusione.
La maggior parte dei serpenti che si incontrano in Italia non hanno un vero e proprio veleno e sono totalmente inoffensivi per l’uomo. Anche se molti vantano capacità di riconoscimento a vista, ad un’analisi oggettiva, la maggior parte dei serpenti che si incontrano non sono vipere, ma inoffensivi colubridi, per quanto vi siano specie che possono raggiungere dimensioni ragguardevoli. Anche la tossicità per l’uomo del veleno delle vipere stesse è stata ampiamente ridimensionata, benché non sia assolutamente da sottovalutare e, in soggetti non sani o allergici, possa avere conseguenze molto gravi. Generalmente, i casi di morsi, trattati adeguatamente in ospedale, non lasciano conseguenze.

Un adulto di Biacco (Hierophis viridiflavus), fenotipo viridiflavus, con colorazione giallo/nera tipicamente riscontrata negli esemplari laziali - Roma, 24 aprile 2017


Ciò non vuol dire che si debbano affrontare gli ambienti naturali con estrema disinvoltura ed impreparazione soprattutto perché, noi umani, siamo sempre di più abituati a vivere comodamente in salotto e non siamo più avvezzi a cogliere i messaggi naturali di pericolo. Azioni di buon senso, come l’uso di un bastone da passeggio, seguire i sentieri battuti e il non introdurre le mani nude in anfratti, possono aiutare ad evitare di incontrare questi animali. Nessun rettile ha comunque interesse a venirvi addosso, quindi, se nelle vostre passeggiate, escursioni o ore passate all'aria aperta incontrate serpenti o rettili, evitate di infierire su di loro, ma piuttosto dategli il tempo di allontanarsi spontaneamente: così facendo, non infrangerete leggi, farete un favore alla Natura e darete ancora alle generazioni future la possibilità di meravigliarsi difronte a degli esseri così particolari.


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Note per chi non è avvezzo al dialetto francavillese:
- “Non jestimara a Dio o a la Madonna, ma jestima u diavuli cu li corna!” sta per: Non maledire Dio o la Madonna ma maledici il diavolo con le corna!
- “para ca mangiasti lucierti!” sta per: Sembra che hai mangiato lucertole!
- 'Serpa nigra' sta per: Serpente nero
- 'Serpa lattara' sta per: Serpente del latte

Riferimenti essenziali:
- Arnold E.N. & Burton J.A., 1985 - Guida dei rettili e degli anfibi d'Europa - Franco Muzzio Editore, Padova
- Bruno S., 1984 - Serpenti d'Italia - Giunti-Martello Editore, Firenze

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