Dal mare di Pizzo
L'appuntamento era con il buio, nello stesso posto del ritrovamento: così era previsto nel protocollo di liberazione. Il mare era mosso, a giudicare dal fragore di alcune onde che si infrangevano sulla riva e dal successivo biancore di spuma che, repentino, vi lampeggiava sopra. Tra di noi si era già detto che, anche in questo caso, bisognava sicuramente accompagnarla a superare la battigia. La piccola, intanto, era in un contenitore, vispa nei movimenti grazie all'energia recuperata dopo le attenzioni del veterinario che l'aveva rifocillata con cura nei giorni passati. Il tempo di bagnarla con acqua marina, saggiando la sua nuotata in una bacinella, e farle sentire l'odore della sabbia che, da qualche parte, lì vicino, l'aveva custodita in un sotterraneo nido, garantendone lo sviluppo; il tempo ancora di un saluto che già la dottoressa, biologa marina dell'associazione M.A.R.E. (Marine Animal Rescue Effort) Calabria, avanzava verso le onde per rilasciarla alla sua esistenza in mare. Il buio non ha consentito di vederla allontanare ma, di contro, ci ha costretto a battere più volte la riva, con le luci artificiali degli smartphone regolarmente dirette verso terra, al fine di assicurarci che il mare non l'avesse rigettata o lei stessa non avesse invertito la rotta, ingannata dai forti fasci luminosi dei non lontani fari posti a ridosso dell'arenile. Trascorso il debito tempo senza trovare sulla riva alcuna traccia della sua presenza, ci siamo allontanati, sicuri di aver dato alla piccola un'altra possibilità di sopravvivenza e sperando che, un giorno, se femmina, possa tornare sulla stessa spiaggia a compiere quella fatica che ha già fatto sua madre in una notte della passata estate. Un sussurrato Buona vita è risuonato come ultimo augurio a lei rivolto.
Il tutto era iniziato due giorni prima. Dopo un pranzo finito presto, con la famiglia, si era deciso di andare verso una delle spiagge di Pizzo Calabro (VV) per fare una passeggiata digestiva sulla riva, prima che il cielo, carico di scure nubi verso Occidente, non avesse deciso di scaricare altra acqua sulla terra già bagnata. Il mare era un po' gonfio e la spiaggia quasi deserta; in cielo, volavano qualche Gabbiano comune (Chroicocephalus ridibundus), qualche Gabbiano reale (Larus michahellis) e forse un Gabbiano corallino (Larus melanocephalus).
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Quando i colori solari incontrano le forze dei moti marini - Pizzo Calabro (VV), novembre 2021 |
Scesi dall'auto, avevamo fatto pochi passi sulla sabbia, indurita e resa compatta dalle precedenti piogge, che vedo a terra una cosetta tondeggiante e scura e poi, ad un metro di distanza, una seconda dello stesso tipo. Sembravano due giocattolini di gomma, due Tartarughe Ninja, a pancia in su, persi da chissà quale bambino che, sprovveduto, se le doveva essere portate in spiaggia. Mi abbasso per guardarne meglio una, sicuro di scorgere la mascherina sugli occhi e forse l'impugnatura della spada sporgere da dietro il carapace, quando mi sorprendo nel comprendere che sono vere tartarughe: sì, bloccate sul carapace a pancia all'aria, chiaramente in difficoltà, ma ancora vive. E' stato sufficiente prenderle in mano, entrambe stavano nel mio palmo, per capire che mi trovavo di fronte a due giovanissime Tartarughe caretta (Caretta caretta).
Questa tartaruga è la più comune delle tre specie di tartarughe marine che si possono incontrare nei mari italiani. Si tratta di una specie che può raggiungere dimensioni notevoli con lunghezze curvatura/carapace, negli adulti, di 70-100 cm ed anche oltre. A seconda dell'età, frequenta habitat marini diversi: da neosgusciata e giovane, vive lontano dalle coste nutrendosi, in maniera opportunistica, nei primi metri di colonna d'acqua. Dopo un decennio di vita, tende a spostarsi più vicino alle coste nutrendosi di organismi bentonici ovvero con esistenza legata, in qualche modo, alla vicinanza al fondo marino. Raggiunta la maturità sessuale, tende a spostarsi verso i siti riproduttivi in cui è nata, mostrando perciò comportamenti caratterizzati da un'accentuata filopatria. Nel Mediterraneo, le aree riproduttive più frequentate si trovano nella zona orientale del bacino, ma la specie si riproduce anche sulle spiagge italiane soprattutto del Sud Italia. La Calabria è la regione italiana che, annualmente, tende ad ospitare il maggior numero di nidi: un primato!
Con la mia famiglia, ancora increduli, ci guardiamo intorno per vedere se ce ne sono altre nelle vicinanze; pensiamo che siano nate da qualche parte su questa spiaggia, da un nido comunque tardivo, visto che siamo a inizio novembre, ma non ne scorgiamo altre, né ci appaiano tracce sulla sabbia che facciano pensare che ci siano stati recenti movimenti (ma ciò poteva anche essere dovuto alla già detta compattezza del suolo). Che fare di loro? portarle subito a mare o, eventualmente, in un centro specializzato? ma dove? ero decisamente impreparato ed indeciso a riguardo; ho pensato che poteva essere conveniente chiedere a chi ne poteva sapere più di me. Intanto mia figlia era andata in un vicino ristorante a cercare una scatola in cui deporle. L'ho seguita poco dopo e, quando sono arrivato al ristorante, già lei era pronta ad uscire con una scatolina di cartone. Informo una persona del ristorante, forse il gestore, che avevamo trovato due tartarughe marine sulla spiaggia ed anche lui mi confessa che, il giorno prima, ne aveva trovata una davanti al cancello della struttura; ha detto che camminava puntando verso terra; l'aveva buttata a mare, pensando che fosse l'azione da fare, senza chiedere ad alcuno.
Non ero sicuro che fosse la cosa migliore da fare: scrivo un messaggio di SOS agli amici Facebook, per poi condividerlo anche nel gruppo della Societas Herpetologica Italica (SHI), nella speranza che qualcuno avesse le idee più chiare sul da farsi. Mentre attendo riscontri, ho prima chiamato un referente locale del WWF Italia di cui avevo il numero (che non mi ha risposto) e poi ho cercato in Internet i contatti di qualche centro recupero in zona che si occupasse di Tartarughe caretta. Mi è apparso il Centro Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone (RC) che ho subito contattato. Mi hanno risposto, mi hanno chiesto una foto degli esemplari e mi hanno subito richiamato per avvertirmi che mi avrebbe contattato un referente più vicino a dove mi trovavo. La macchina dei soccorsi era avviata!
Mentre arrivavano le prime risposte dal Social Network, ero già al telefono con un referente di Caretta Calabria Conservation, un'associazione, fondata da biologi che hanno iniziato la loro formazione presso l'Università della Calabria, il cui obiettivo principale, come emerge dal loro sito, è la salvaguardia della popolazione di Tartaruga marina Caretta caretta, nidificante lungo la Costa Ionica della Calabria. Quest'ultima si è rivelata come una delle maggiori, se non la maggiore area di nidificazione italiana della specie: solo nel 2021, l'associazione ha dichiarato di averci rinvenuto 58 nidi di Caretta caretta assicurando al mare più di 3.100 nuovi nati.
Le femmine di questa specie depongono fino a 5 volte per stagione. Per ciascuna deposizione, con il favore del buio, la femmina esce dall'acqua e risale faticosamente la spiaggia per scavare un nido ovvero una buca nella sabbia, dove pone da poco più di 20 fino ad oltre 110 uova. Il nido viene ricoperto, e la femmina torna in mare. Non è detto però che una stessa femmina deponga tutti gli anni. Le deposizioni avvengono generalmente da maggio ad agosto, con conseguenti schiuse che vanno da luglio a settembre. Le uova vengono incubate dal calore della sabbia la cui temperatura determina il sesso dei nascituri: sopra un certo intervallo di temperatura, si sviluppano più femmine, sotto lo stesso intervallo si sviluppano più maschi; di conseguenza, dalle uova più vicine alla superfice, che ricevono più calore, tendono a nascere più femmine, da quelle poste più in profondità, tendono a nascere più maschi. Se il nido non viene danneggiato da predatori naturali, compromesso dall'insorgere di patologie o, indirettamente, rovinato o distrutto dalle attività umane, sempre più invasive sulle spiagge, alla schiusa, dopo aver assorbito tutto il nutrimento delle uova, le piccole tartarughe risalgono la sabbia ed emergono in superficie. Generalmente, anche l'emersione avviane con il favore delle ombre, per evitare i predatori; le nuove nate si orientano verso il mare, raggiunto il quale, nuotano verso le aree di alimentazione dove cresceranno. Si tratta di un percorso pieno di insidie, con un tasso di mortalità molto elevato, ma compensato dall'elevato numero di uova deposte.
Dopo le prime indicazioni ricevute direttamente al telefono, si è tentato un immediato rilascio a mare nell'area di rinvenimento. I due esemplari sono stati posti a qualche metro dal bagnasciuga, sperando che si dirigessero in autonomia verso il mare. Dei due, solo uno lo ha fatto raggiungendo l'acqua ma, la forza delle onde, l'ha rimandato indietro per due volte. Altra telefonata: non resta che provare a fargli superare la battigia. In mutande, aspettando un momento in cui le onde fossero più basse per approfittarne, sono entrato in acqua avvicinandomi alla battigia quel tanto che bastava per deporvi l'esemplare più attivo oltre la stessa. Galleggiando come un pezzo di sughero, la piccola ha indugiato un po', tanto da farci pensare che, da lì a poco, sarebbe stata ributtata indietro da qualche onda. Pian piano, ha però incominciato ad allontanarsi verso il largo finché è scomparsa alla nostra vista, proprio mentre la perturbazione sul mare si era avvicinata, aumentando la foschia sulla superfice dell'acqua e facendo cadere le prime gocce di pioggia anche sulla riva. Intanto, in cielo, non si vedevano più gabbiani in volo. In tutto questo tempo, il secondo esemplare era rimasto totalmente immobile: la sua liberazione, in quelle condizioni, era impensabile se non condannandolo ad una sicura morte. L'abbiamo riposto nella scatola nel cui fondo avevamo preventivamente raccolto uno strato di sabbia umida; lo scopo era quello di portarlo via per consegnarlo ad un centro recupero. Intanto, la pioggia si era fatta battente, la luce si era affievolita, la passeggiata digestiva era controproducente farla, l'apprensione per la salute della seconda piccola tartaruga era aumentata, soprattutto tra le più giovani della famiglia: siamo rientrati e, appena arrivati, è stata posta nella scatola anche una bottiglia d'acqua calda per cercare di mantenere una temperatura gradevole al suo interno. Il tutto è stato posto al buio, per non far agitare l'ospite, anche se la sua scarsa reattività non faceva presagire nulla di buono.
Il giorno successivo è giunta la sperata notizia che la giovane tartaruga era tornata in forma e che poteva essere liberata quella sera stessa. Un sopralluogo pomeridiano a mare, però, ha sconsigliato l'operazione poiché i marosi, quel giorno, erano veramente imponenti sul braccio di Tirreno di interesse, alimentati da un vento di burrasca che spirava dai settori occidentali. Il tutto è stato pertanto rimandato alla sera successiva e si è svolto secondo le modalità già su descritte.
Al Museo della Pesca e del Mare, con annesso Centro Recupero Animali Marini, siamo andati dopo qualche giorno. A memoria, non ricordo di essere mai stato accolto in un posto con tanta disponibilità e competenza così come è successo lì, a Montepaone. Siamo stati guidati, dai membri dell'associazione M.A.R.E. Calabria che lo gestisce, in una visita che si è protratta per quasi due ore e mezza. In tale lasso di tempo siamo stati condotti alla scoperta dei fondali marini mediterranei e dei suoi abitanti, grazie all'illustrazione di alcuni diorami presenti nei locali del museo; abbiamo ricevuto vari cenni sui principali strumenti e metodi utilizzati per analizzare la qualità delle acque e dei depositi sui fondali marini. Successivamente, ci sono stati mostrati e spiegati vari reperti marini esposti nel museo, spesso ottenuti a seguito di interventi sugli animali spiaggiati. Questa associazione, infatti, fa parte della Rete Regionale d’intervento per lo studio e il recupero degli animali spiaggiati: non solo tartarughe quindi, ma anche squali e cetacei, essendo autorizzati dalla rete Nazionale Spiaggiamento Cetacei ad intervenire su di essi in Calabria. Alcuni scheletri di delfini, o parti di essi, sono assemblati nel museo e, partendo da questi, il personale ci ha fatto notare le differenze tra le varie specie. Impressionanti, per dimensioni, i denti di Capodoglio di cui abbiamo avuto modo di ascoltare la storia dell'intervento sull'animale spiaggiato. Non mancano i reperti di Tartaruga caretta che hanno permesso di approfondire i temi relativi all'habitat ed all'ecologia della specie, alla sua riproduzione, attraverso l'osservazione di diorami sul suo nido e sull'emersione dei neosgusciati. Ampio spazio è stato dato a dettagliare le minacce che incombono sulla specie elencando anche le più comuni cause di morte di origine antropica grazie anche alla digressione sul contenuto degli apparati digestivi degli esemplari che non è stato possibile recuperare. Dalla sessione dedicata alla pesca, passando accanto ad una parete tappezzata di foto di interventi e rilasci in natura avvenuti sulle coste calabresi, si è passati ai laboratori di analisi dei campioni, all'ambulatorio veterinario con sala operatoria ed infine alle vasche di degenza e recupero. Qui è stato possibile vedere degli esemplari di Tartaruga caretta (solo quelli il cui stato di salute lo permetteva) quasi pronti al rilascio in mare, dopo gli interventi su di essi e la fase riabilitativa.
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Si ringrazia la Dott.ssa Stefania Giglio, dell'associazione M.A.R.E. Calabria, per la disponibilità dimostrata, per il tempo che ci ha dedicato in tutta questa vicenda, condividendoci un po' delle sue conoscenze e permettendo la riuscita della seconda liberazione, dopo le cure fornite dal Centro Recupero Animali Marini di Montepaone (CZ).
Si ringrazia il dott. Salvatore Urso di Caretta Calabria Conservation per l'assistenza che ci ha fornito nella prima fase del recupero e per l'impegno che ha profuso perché lo stesso potesse avere un buon esito mettendoci in contatto con le persone giuste.
Si ringrazia il Centro Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone (RC) per aver risposto alla chiamata che ha permesso l'avvio dei soccorsi.
Si ringrazia Marco Ranù e quanti hanno risposto al messaggio di SOS lanciato su Facebook nella prima concitata fase del fortuito ritrovamento.
Di seguito si riportano alcuni link utili:
- Il sito Web del Museo della Pesca e del Mare e del Centro Recupero Animali Marini di Montepaone (CZ) gestiti dall'associazione M.A.R.E. Calabria, in cui si possono trovare informazioni sulla sua storia, su come contattarli in caso di necessità, sulle attività effettuate e su come organizzare delle visite
- Il sito Web dell'associazione Caretta Calabria Conservation dove si trovano informazioni sulle attività svolte per il monitoraggio dei nidi di Tartaruga caretta lungo la costa ionica reggina e su come eventualmente partecipare
- Il sito Web del Centro Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone (RC)
Nello scrivere questo post si è anche consultato Di Nicola M.R, Cavigioli L., Luiselli L. & Andreone F., 2019. Anfibi & Rettili d'Italia. Edizioni Belvedere, Latina.
Grazie per aver trasmesso in modo così genuino la vostra esperienza! Avrei dato qualunque cosa, per essere lì con voi!
RispondiEliminaGrazie a Lei
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