Il roteare in cielo di una Poiana (Buteo buteo) ci ha salutato prima di calarci verso il fondo della forra, seguendo la ripida discesa di un sentiero nel bosco.
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La Poiana (Buteo buteo) è uno dei rapaci più diffuso sulle colline vibonesi |
Per giungere qui, in un caldo ed assolato pomeriggio estivo, con Francesco Pileggi, abbiamo attraversato per l’intera sua lunghezza la striscia di case di Trecroci che sembra posta in equilibrio sulla cresta di uno sperone di terra che, degradando, si insinua tra due profonde e lussureggianti valli fluviali.
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Trecroci è uno dei maggiori borghi che costituiscono il comune di Polia (VV); sullo sfondo è possibile notare il Lago dell'Angitola - Foto di Francesco Pileggi |
Area ricca d’acqua questa, visto che il fresco liquido lo puoi vedere sgorgare, scorrere o sentirne il gorgogliare un po’ ovunque!
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L'acqua è un elemento molto abbondante nel territorio di Polia (VV) |
Man mano che si scende, i suoni del bosco vengono sopraffatti da quello continuo prodotto dell’acqua che accarezza e alliscia sassi e ciottoli, nel suo perpetuo divenire dettato dall’inesorabile procedere verso valle: siamo nel letto del fiume ed è ora di prepararsi alla progressione nell’ambiente umido!
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Il letto del Fiume Milo all'inizio del percorso |
In questo punto, la forra è ancora sufficientemente larga ed i raggi solari possono raggiungerne il fondo per illuminare le danze aeree delle damigelle Calopteryx haemorrhoidalis ed i piccoli fiori che compongono alcuni tondeggianti ammassi floreali.
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Una femmina di Calopteryx haemorrhoidalis, una specie di libellula generalmente abbondante lungo i corsi d'acqua delle colline vibonesi |
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I fiori di Trachelium caeruleum, una pianta originaria del Mediterraneo che cresce in ambienti rupestri, su vecchi muri ed in luoghi umidi e poco soleggiati |
Non sarà così più avanti. Superata qualche svolta e dei piccoli gorghi d’acqua, dovuti allo scavalcamento di masse di vegetazione scivolate verso il fondo, già si percepisce il dominar dell’ombra mentre ci si avvicina alla bocca confinata dalle prime pareti fluviali verticali.
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La progressione in ambienti come quello descritto richiede una certa preparazione ed un'attenta valutazione dei rischi a cui si va incontro |
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L'imbocco del canyon percorso |
L’impatto visivo con ciò che ci circonda sembra catapultarci in una dimensione differente, diversa da quella precedente. Senti il bisogno di rallentare, fermarti, osservare i particolari per prendere confidenza con un ambiente sorprendente, respirandone l’essenza magica, quasi mistica, che sprigiona: ti spieghi perché gli antichi greci sentivano il bisogno religioso di popolare certi posti con le Potamidi, le ninfe dei fiumi dalla lunga vita che possono ispirare gli uomini!
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Imponente parete sedimentaria verticale soggetta a periodici crolli |
Squadrati blocchi sembrano tagliati di netto dalla parete sovrastante per farli precipitare in basso; solchi a raggiera ornano alcune loro facciate, tracce lasciate da insinuanti radici o da chissà cosa.
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Particolare dei blocchi squadrati che si sono staccati dalla prossima parate sedimentaria di probabile origine alluvionale: si notano le linee di deposizione dei vari strati, spessi e compatti, che si sono depositati orizzontalmente in probabili eventi successivi nel tempo, rimarcate dalla vegetazione che cresce in maniera più evidente lungo le stesse |
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Impronta a raggiera impressa su uno dei blocchi sedimentari che giacciono lungo il percorso la cui origine resta ignota |
Superando un salto d’acqua, si procede nel canyon limitato da strette ed alte pareti, levigate e pulite per una certa altezza dalle acque impetuose che qui dovrebbero velocemente salire di livello in caso di forti piogge; più in alto, è il verde intenso della vegetazione che colpisce prima che la volta arborea sovrastante nasconda parzialmente l’azzurro cielo con le proprie fronde.
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I detriti e la lussureggiante vegetazione che scende verso la parte interna del canyon |
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Il letto del canyon ed il particolare ambiente che custodisce - Foto di Francesco Pileggi |
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La bocca del canyon guardando dal suo interno verso valle |
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Nel suo scorrere, l'acqua plasma anse ed evidenzia le stratificazioni sedimentarie che compongono le pareti a seconda della durezza e resistenza dei vari depositi ivi presenti |
Ben presto riconosciamo i primi esemplari di Felce bulbifera (Woodwardia radicans), una pianta dalle origini molte antiche. Grazie ai resti fossili, si ipotizza che il genere si diffuse 200 milioni di anni fa, tra la fine del Triassico e l'avvio dell'era Giurassica quando prosperavano, tra gli altri, i grandi dinosauri.
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Alcuni esemplari di Felce bulbifera (Woodwardia radicans), specie le cui foglie possono raggiungere dimensioni e lunghezze ragguardevoli |
65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, quando i dinosauri non aviani, loro malgrado, avevano già lasciato spazio ad altri animali, diverse specie di Woodwardia erano diffuse nei sottoboschi di foreste montane di aree subtropicali e di foreste termofile di aree temperate dell’Emisfero Boreale.
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Felce bulbifera (Woodwardia radicans), particolare di una foglia con bulbillo radicale |
Successivamente, nel Miocene (a partire da 23 milioni di anni fa), la specie Woodwardia radicans si diffuse nel bacino del Mediterraneo come elemento tipico della flora tropicale che ammantava le aree montuose di alcune regioni. Le trasformazioni climatiche che hanno interessato l’area nei periodi successivi hanno ridotto moltissimo la diffusione di tale felce. In natura, oggi è relegata ai pochi ambienti che conservano le caratteristiche di integrità, luce, umidità e temperatura a lei congeniali, proprio come quello in cui ci troviamo. È una pianta considerata rara, meritevole di protezione, insieme all’habitat che l’accoglie, tanto da essere inserita nella Lista Rossa della Flora Italiana ed ivi classificata come specie in pericolo (EN).
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Felce bulbifera (Woodwardia radicans): una lunga foglia illuminata dal Sole con evidente bulbillo apicale, assieme a quelle di altre specie di felci poste in basso a destra |
Una delle particolarità che differenzia Woodwardia radicans da tutte le altre felci europee è la formazione di bulbilli radicali nella parte inferiore delle grandi foglie, verso l’apice di quest’ultime. Quando questi bulbilli vengono a contatto con il terreno umido, possono dare origine a nuovi individui per propagazione vegetativa. A questa caratteristica è dovuto il suo nome volgare di Felce bulbifera.
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Felce bulbifera (Woodwardia radicans), particolare del bulbillo radicale, utile alla propagazione vegetativa delle pianta, posto nella parte inferiore della foglia che presenta una sorta di doppia punta |
Abbiamo proseguito lungo il fiume per un altro tratto, stretti tra pareti in parte ricurve e aggettanti, stillanti acqua. Abbiamo superato un tratto ingombro di vegetazione costituita da radici arboree con annesso tronco e rami, trascinati chissà da dove e depositati e bloccati di traverso in quel punto: nel superare questa sorta di piccolo sbarramento, l’acqua ha scavato delle pozze più profonde subito a valle.
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Un'altra specie di felce risultata molto visibile nel canyon è l'Asplenium scolopendrium (o Phyllitis scolopendrium) che cresce anch'essa in modo spontaneo su sponde di ruscelli, forre e boschi umidi |
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In questa immagine si apprezza l'imponenza e la continua verticalità delle pareti nella cui erosione sono impresse le evidenti tracce lasciate dagli eventi di piena |
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Tronchi e rami d'albero riversi nel letto del fiume |
Un’ansa nel canyon ha generato da un lato una parete concava accoppiata con l’altra particolarmente convessa poiché scavata lateralmente alla base dallo scorrere del fiume: il risultato è una sorta di semi-volta che si proietta dalla parete convessa verso l’altra.
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Per elevate altezze, le pareti del canyon sono scavate, levigate e ripulite dalla forza delle acque incanalate durante le periodiche e imprevedibili piene |
Si transita in un ambiente che sembra quasi una grotta aperta, ornata da vegetazione pendula e con l’acqua che, in goccioloni, precipita dall’alto come se fosse pioggia residuale. In questo tratto, il letto del fiume è punteggiato da sassi anche di medie dimensioni segno che dalla semi-copertura non cade solo materiale liquido.
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I muschi colorano di verde le altrimenti chiare pareti della forra; sul fondo solo poche piante riescono a vegetare sino alla prossima ondata di piena |
Più avanti, un piccolo smontamento della parete lascia ancora traccia della sua avvenuta caduta, c’è una specie di ristringimento, prima di un’altra ansa potenzialmente interessante, che però non abbiamo superato.
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Una colata di rosso ruggine emerge da una parete probabile indice della presenza di materiale ferroso in quella porzione di suolo |
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Un'altra immagine da cui si può cogliere la spettacolarità e particolarità del sito e della gola che lo caratterizza |
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Una sorta d'imbuto caratterizzato da acqua gorgheggiante in un ingombro di grossolani depositi rocciosi anche di natura granitica |
È chiaro che questo sia un ambiente in continuo mutamento, modellato dalla forza dell’acqua che si confronta con la resistenza del conglomerato di sedimenti che compone le pareti: per vari aspetti, molto fragile poiché nato e mantenuto dal delicato equilibrio degli agenti naturali che vi operano, senza eccessiva prevaricazione degli uni sugli altri... e l’uomo, l’uomo come si pone su tutto ciò?
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Le condizioni di temperatura ed umidità presenti nel sito sono mantenute comprese in stretti intervalli di variabilità anche grazie alla copertura arborea che sovrasta la gola |
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Un particolare agglomerato di sassi cementati tra loro sormontato da una piccola sorgente ferrosa |
L'area non è soggetta a particolari vincoli, anche se è noto che la felce che vi vegeta risente dell'effetto delle alterazioni umane sul territorio: per esempio, l'eccessiva captazione dell'acqua o il suo inquinamento, il taglio sconsiderato della copertura arborea circostante sono tra i fattori che potenzialmente hanno un forte impatto sulle caratteristiche ambientali di tali habitat e quindi sulle condizioni che permettono la prolificazione oppure l'estinzione locale della felce.
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La Rana appenninica (Rana italica) è un endemismo italiano protetto dalle normative vigenti; durante il percorso sono stati individuati anche indizi di presenza del Granchio di fiume (Potamon fluviatile) |
La zona è tutta di grande interesse naturalistico (si veda per esempio, in questo blog, anche quest'altro
post relativo all'esplorazione di un altro canyon nella medesima macro-area) ed è prossima al Parco Naturale Regionale delle Serre che potrebbe senz'altro inglobarla nei suoi confini anche perché le acque che vi circolano alimentano direttamente il bacino del Lago dell'Angitola che è l'unica zona umida di importanza internazionale della regione.
Note
Per maggiori dettagli ed approfondimenti su Woodwardia radicans si rimanda al sito dell'Orto Botanico "Pietro Castelli" dell'Università degli Studi di Messina a cui si è fatto riferimento in questo post.
Esplorare siti come quello descritto richiede una certa preparazione ed un'attenta valutazione preventiva dei rischi a cui si va incontro, per non trovarsi in situazioni che, in casi estremi e per l'assenza di vie di fuga laterali, possono portare a conseguenze serie per se stessi e per gli altri, anche potenzialmente mortali. E' inutile dire che, durante la permanenza, è altrettanto fondamentale non arrecare danni agli stessi habitat, alla flora ed alla fauna ivi presente anche se non se ne riconosce immediatamente il valore.
Infine, ma non per ultimo, un saluto e ringraziamento a Francesco Pileggi per aver permesso nonché condiviso quest'esperienza e per aver concesso l'uso di alcune sue fotografie.
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