Due occhi scuri
Ancora un po' intontito dal sonno, avevo da poco finito di consumare la colazione seduto al tavolo posto all'esterno della casa. Creature dei boschi, sui vicini alberi, erano già giunti, a spulciare la corteccia, gli abituali Picchi muratori (Sitta europaea) e qualche Rampichino comune (Certhia brachydactyla). Una risata di Picchio verde (Picus viridis) risuonava più in là, mentre una confidente Ghiandaia (Garrulus glandarius) saltellava tra i rami del fico meravigliandosi del fatto che, quest'anno, i frutti non fossero ancora maturi. Mi rimbombava nelle orecchie il gracchiare insistente di almeno due Cornacchie grigie (Corvus cornix). Da quando eravamo arrivati, alcune settimane prima, in zona si aggirava una famiglia di cornacchie con almeno due giovani che, già abilmente volanti, ancora chiedevano l'imbeccata agli adulti. Nei giorni precedenti, era capitato spesso di sentire questo chiassoso gracchiare provenire dai dintorni, probabilmente quando i sospettosi ed apprensivi genitori individuavano qualche potenziale pericolo per i loro pargoli.
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Un Rampichino comune (Certhia brachydactyla) setaccia minuziosamente la corteccia di un noce in cerca di invertebrati - Provincia di Vibo Valentia, luglio 2021 |
Quando, un po' svogliato, ho portato la tazza in casa per lavarla, ho fatto più attenzione a quel gracchiare allarmato che proveniva da un gruppo di splendide querce poste poco lontano: mi sono affacciato dalla finestra della cucina per dare un'occhiata. Immaginavo di vedere un gatto o al più una volpe aggirarsi sotto le querce, ma niente, non ho colto nulla di sospetto; in verità, non ho nemmeno visto le cornacchie che si agitavano. Tornato al tavolo esterno per sistemarlo, il baccano continuava e mi sono nuovamente rivolto in quella direzione, questa volta dall'esterno della casa, sempre lontano dagli alberi ma con una visuale più allargata.
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Un Picchio muratore (Sitta europaea) compare su un ramo di quercia dopo averne ispezionato la corteccia - Provincia di Vibo Valentia, agosto 2021 |
A circa metà chioma di una quercia dai larghi rami, un movimento tradisce una presenza. Qualcosa si è girato di scatto, scuotendo le foglie, per tornare indietro lungo un ramo. Nella velocità della scena, non ho visto molto ma, per accendere i sensi, è bastata la sensazione della presenza di un mantello bruno, il lampo di una chiazza giallastra e la percezione di una grossa coda folta; doveva trattarsi di un mustelide arboricolo di medie dimensioni: 'na fhuina!, mi suona dialettalmente in mente. Ero già dentro a prendere la macchina fotografica con l'ottica lasciata montata dal giorno prima e, con gli infradito ed uno sconcio pigiama ridotto al minimo per il gran caldo di quelle nottate, mi sono affrettato verso le querce prendendo una via tale da mantenermi largo intorno alla meta, mentre con le dita tastavo per accendere la strumentazione e togliere il copriobiettivo. Mi sono ricordato del nido di Calabroni (Vespa crabro) che occupava la base di un'altra quercia accostata alla traccia di sentiero che stavo percorrendo, l'ho aggirato: alcune operaie sostavano, attente, sulla corteccia accanto all'apertura controllando il già evidente andirivieni delle sorelle!
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Una giovane femmina di Picchio verde (Picus viridis) si arrampica sul tronco di una quercia, forse in cerca di formiche di cui si nutre - Provincia di Vibo Valentia, luglio 2021 |
Mi sono messo a guardare tra le fronde della grande quercia; le cornacchie si erano ammutolite e forse si erano anche allontanate, spaventate dal mio arrivo; rimaneva il frignare continuo delle cicale. Non potevo esser certo che il fantasma, che avevo intravisto, non avesse già abbandonato la zona, scendendo dagli alberi; speravo ed immaginavo di poterlo ancora intercettare mentre correva su qualcuno di quei rami, resi quasi orizzontali dalla mole e dall'età dell'albero che li aveva generati, e che sostenevano, stese al Sole, delle rigogliose chiome.
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Una Ghiandaia (Garrulus glandarius) si crogiola al sole sui rami di un fico - Provincia di Vibo Valentia, agosto 2021 |
Sono passati lunghi minuti, ma nulla succedeva; fortunatamente, nemmeno le zanzare avevano assaltato le mie gambe scoperte; continuavo comunque a sperare. Non penso che lo avrei rivisto se non fosse stato lui a rivelarsi: una sorta di guaito, continuo e nervoso, proveniva dalla cima di un alto ramo ad almeno una ventina di metri d'altezza. Ho dovuto cercare un po' con lo sguardo, aggiustando la prospettiva per evitare le foglie che li coprivano parzialmente, prima di cogliere due occhi scuri, sovrastanti un musetto appuntito ed incastonati in un capo incoronato da due orecchie tese: mi stavano guardando... chissà da quanto tempo!
Mi balena il pensiero che forse, altre volte, chissà quante, occhi simili mi hanno osservato dalle chiome dei boschi o dai cespugli dei sottoboschi che ho percorso, senza che io minimamente li cogliessi. Mi sovviene anche la riflessione che avevo fatto sere prima quando, attorniato dagli sbuffi di stimate decine di Ghiri (Glis glis), mi ero chiesto dove fossero i loro predatori naturali, quanto tempo avrebbero impiegato a cogliere le opportunità date da tale abbondanza. Ora uno era lì, sulla mia testa, magnifico in tutta la sua selvaticità.
La Martora (Martes martes), perché di questo si tratta, è un carnivoro della famiglia dei Mustelidae molto simile alla congenere Faina (Martes foina) dalla quale distinguerla non è sempre immediato. Se la Faina viene spesso descritta come una frequentatrice abituale di borghi rurali, ma anche di città, dove si è adattata a vivere con poche difficoltà poiché, originariamente, era legata ad ambienti rocciosi, la Martora, invece, viene indicata come un animale elusivo, legato a boschi e foreste con sottobosco poco sviluppato, caratterizzati da alberi maturi su cui possa trovare cavità, utilizzate come rifugi. Generalmente più arboricola della Faina, è una cacciatrice opportunista che si nutre di piccoli roditori, toporagni, uccelli, insetti, frutti ed anche carogne.
Intanto, lascio tranquilla la mia amica, ormai sembra che ci siamo intesi, e torno a casa per montare, sulla macchina fotografica, un teleobbiettivo più idoneo di quello che ci avevo trovato. Benché mi sia mosso celermente, per quanto fosse possibile con degli infradito per evitare di ruzzolare da qualche parte, per andare e tornare, ho impiegato un certo tempo; l'ho ritrovata, praticamente, dove l'avevo lasciata anche se poteva allontanarsi senza impedimenti, segno che, lassù, si sentiva abbastanza sicura e forse anche a casa.
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